L’ideologia che illustra quel che si fa nell’istituto psichiatrico come se fosse concepito per riportare il paziente alla funzionalità è antica come l’istituto psichiatrico
Posizione
L’ospedale psichiatrico Antonio Pancrazio si trova a Marocco, tra i comuni di Venezia e Mogliano Veneto, poco dopo Veneland e l’ Ivo Lucon. Si può facilmente entrare da un buco nella rete. Bisogna fare attenzione a non entrare nella parte dei nuovi padiglioni dell’istituto psichiatrico ancora operativi.
Storia
L’Ospedale, istituito nel 1898, grazie ad un lascito testamentario di Antonio Pancrazio, medico, deputato provinciale e presidente del Consiglio di amministrazione presso l’Ospedale civile dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia. Venne poi inaugurato nel 1900 e affidato in gestione al vicino Pellagrosario di Mogliano Veneto.
Sin dall’origine, l’Istituto medico pedagogico e, in particolare modo, la Colonia agricola sono stati fortemente legati da stretti rapporti istituzionali agli Ospedali psichiatrici di San Servolo e di San Clemente di Venezia: infatti la colonia agricola di Marocco di Mogliano Veneto funzionava come una vera e propria sezione staccata dei manicomi centrali veneti di San Servolo e di San Clemente. Qui venivano generalmente inviati e ospitati i pazienti definiti “dementi cronici e tranquilli”, in grado di svolgere il lavoro dei campi e di occuparsi delle tipiche mansioni e attività richieste nella conduzione dell’azienda agricola di campagna. La colonia così concepita assolveva il duplice compito di mettere in pratica da un lato la cura dei malati, utilizzando come cura anche l’ergoterapia, e dall’altro quello di rifornire gli ospedali psichiatrici della laguna di alcuni generi alimentari prodotti in campagna.
Nel 1978, alla chiusura definitiva dell’Ospedale psichiatrico di San Servolo, vengono trasferiti a Marocco 108 pazienti, di cui 74 uomini e 34 donne, che si aggiungono ai 232 malati già presenti, di cui 156 uomini e 76 donne, per un totale di 340 presenze, alcune delle quali tuttora in loco: la sede infatti è stata trasformata in un Centro di salute mentale afferente al Dipartimento di salute mentale, diretto dal dottor Giuseppe G. Pullia.
Descrizione
Un istituto vuoto, spoglio e ridimensionato dal tempo e dall’uomo. Molti dei fabbricati sono stati chiusi, le porte murate e alle finestre sono state messe le inferriate. Quei pochi che sono rimasti aperti sono in parte già crollati con travi e muri in bilico. Il fabbricato che ospita gli archivi è stato chiuso e pure la chiesa. Percorrendo tutto il tratto di strada asfaltata verso la parte “attiva” dei padiglioni, si arriva a un ripostiglio. Dentro si possono trovare addobbi natalizi, pannocchie appese agli stipiti delle porte, bastoni di tutti i tipi, resti di scope e vasi. Da una porta del magazzino è possibile raggiungere il lato abitato.
Per tutto il tragitto non ho mai avvertito l’atmosfera opprimente e l’aria densa di malinconia. Il posto non è riuscito a trasmettermi quello che il manicomio di Granzette o quello di Aguscello sono riusciti a farmi sentire e provare. Ora come ora ciò che si può visitare è veramente poco e, se solo si volesse, in una mezz’ora/40 minuti è possibile esplorare tutto il complesso.
Nella nostra strada di ritorno usciamo nuovamente attraverso lo squarcio della rete facendo attenzione a non farci scoprire dagli abitanti delle case di fronte. Anche se presumo che, per qualche paziente-fuggitivo, nessuno avrebbe mai dato l’allarme.
ON THE MAP:
Questo luogo lo conosco bene:
Sia la parte che era ancora utilizzata come sede staccata del GRIS e che aveva accolto i pazienti – senza famigliari viventi o abitanti vicino – dell’Ospedale psichiatrico S. Artemio di Treviso nel 2003 quando furono allontanati per creare il polo istituzionale della Provincia di Treviso.
Sia la parte chiusa e diroccata (il grande parco, fino al 2015, era ancora accessibile – vi si accedeva dal parcheggio della parte in uso.
La chiesa, con un grazioso porticato e un caratteristico campanile a vela era stata consacrata dall’allora Patriarca di Venezia Angelo Roncalli – poi Papa Giovanni XXIII.
È rimasta in uso fino a fine anni novanta – il mio predecessore parroco a S. Antonio di Marocco – vi andava a celebrare ogni settimana. Negli anni precedenti vi era sempre una messa domenicale partecipata da ospiti, parenti e gente del vicinato.
Dato lo stato di abbandono che, negli anni del mio servizio a Marocco come parroco – 2008-2016, ho spesso denunciato, nel 2011 si sono avuti i primi crolli del tetto nella parte laterale, poi, dal 2014, il crollo nell’aula della navata centrale della chiesa… prima una parte, quindi sempre più. Nel 2015, mentre passavo per una visita ad una famiglia, vidi una squadra di operai che stava murando tutte le entrate della chiesa per l’aggravarsi dei crolli e per evitare l’intrusione di estranei – magari ignari del rischio di crollo del solaio e del tetto.
Mi fermai, entrai, qualificandomi e camminando con attenzione e scattai varie foto dell’interno che, al momento della chiusura/muratura delle porte esterne, conteneva ancora non poche suppellettili: Grande crocifisso in marmo – bellissimo!!!! – Tabernacolo… balaustre, lampade, e un paio di acquasantiere dall’apparenza ben più antica.
So che metà del tetto è crollato nel 2019-20.
Peccato. Era una chiesa in stile essenziale e moderno – anni 50 – molto, molto elegante e bella.
Peccato proprio.
Bellissimo commento, bellissima storia. Grazie Paolo per averci fatto ricordare questo luogo oramai dimenticato.