Hai mai sognato di vivere in un posto dimenticato da tutti? Una casa dove potresti rifugiarti, lontano dal turbolento via vai del caos cittadino in cui sei abituato a vivere? Cullati dalle onde dell’oceano oggi proponiamo la Casa del Mar!
Locazione
Un posto facile da raggiungere e pienamente visibile dalla spiaggia. Non c’è nessun bisogno di preoccuparsi delle persone che girono attorno dato che, oramai, la casa è diventata una delle attrazioni turistiche di Tarfaya. L’importante è prestare attenzione alla marea e quindi di conseguenza all’ora. State attenti perché potrebbero bagnarsi non solo i vostri pantaloni!
Storia
Era il 1882 quando Tarfaya fu occupata dagli inglesi e Casa del Mar venne costruita. Casa del Mar- casa del mare in spagnolo- venne abitata da più di 400 uomini d’affari britannici che furono dispiegati sulle rive del fiume Trafaya nel 1876. Casa Del Mar era usata come “luogo di commercio” con i commercianti delle lontane Terre africane. Le tribù Sahrawi chiesero l’intervento del sultano Hasan I che nel 1885 decise di acquistare l’edificio. Nel 1912, il territorio di Tarfaya, all’epoca chiamato Cape Juby, fu occupato dagli spagnoli edentrò a far parte del Sahara spagnolo.
Descrizione
La marea riempiva d’acqua le stanze ad ogni onda che passava. In vano ho aspettato che l’acqua lasciasse la casa in modo da poter raggiungere il suo interno.
Ho capito dalla spiaggia di Legzira che l’oceano è un essere completamente inaffidabile, soprattutto quando non lo conosci. Può abbracciarti come può sopraffarti, può coccolarti come può annegarti. Imprevedibile.
Attraversando la sottile striscia di terra che ormai separava la sabbia dalla roccia, mi sono bagnato. Sono stato giocato dall’onda che mi attendeva dietro la casa. A dire la verità non era neanche male venire rinfrescato, visto il sole cocente di mezzogiorno. Una parte del mio corpo venne bagnata, la parte superiore invece venne coperta di sabbia, che si insinuò anche nei miei capelli.
A piedi nudi era abbastanza doloroso camminare sulle rocce che si trovavano anche all’interno della casa. Sul muro una piastra incastonata nella parete. Una data (1882), il nome della colonia e i nomi delle persone che probabilmente colonizzarono Tarfaya.
L’interno era diverso. La percezione, l’odore e le sensazioni che provava il mio piede erano diverse. L’aria pesante e salmastra che respiravo piano piano penetrava profondamente dentro i miei polmoni e poi lentamente usciva fuori dal naso. Con il timore di scivolare e, saltando da una pietra all’altra, mentre avanzavo cercavo di prestare attenzione a ogni singolo punto del terreno.
Guardando diritto verso il cielo attraverso ciò che ormai non si poteva più definire un tetto, era possibile intravedere le nuvole di sabbia ballare e muoversi a un tempo dettato dal vento. Un ragazzo che prima non avevo minimamente notato, uscì da una porta del primo piano e con una salam alaikum mi salutò. Risposi allo stesso modo anche se non avevo proprio voglia di chiedere qualcosa o avviare una conversazione. In quel momento non ero interessato alla storia del posto e nemmeno come fosse riuscito ad arrivare fin lassù. Difatti scale non ce n’erano e il muro, bagnato e senza supporto, era abbastanza difficile da scalare.
Le stanze, per lo più buie, erano illuminate principalmente da finestre o fori sulle pareti. Oscuro era anche il futuro che aspettava questo monumento storico sopravvissuto a un passato di tempeste, di venti e di logorii dettati dal tempo.