Quasi ci fosse appena stato un esodo di massa dei detenuti, vengo all’improvviso catapultato e scaraventato dietro le sbarre, sempre più in fondo nei meandri della prigione.
Posizione
La prigione si trova a un’ora di treno da Parigi. L’entrata è piuttosto facile: basterà semplicemente passare attraverso un buco nella rete a ridosso del muro nei pressi del parcheggio antistante.
Storia
La prigione fu costruita nel 1857 e rimase in funzione fino al 2005.
Gli anziani raccontano delle grida dei detenuti che riecheggiavano per tutto il cortile del collegio; ed è proprio qui che ogni giorno vedevano gente ammanettata che attraversava la piazza adiacente.
Originariamente, la prigione si trovava nell’ex castello della contea. Ma il posto, in pietoso stato, non poteva più ospitare nessuno. La soluzione più semplice fu quella di spostare la prigione nel sobborgo di Saint-Nicolas.
Subito dopo scoppiò una controversia sulla scelta di tenere una prigione con celle individuali. Infatti, poco prima della sua costruzione, la circolare di Persigny del 17 agosto 1853 raccomandava l’abbandono di questo tipo di celle, ritenute troppo costose. Ma Ernest Mangeon, l’architetto, non ha rispettato la circolare.
Una cinquantina di detenuti sono stati autorizzati a soggiornarvi. Tuttavia furono solo di passaggio, e poco dopo vennero trasferiti in un’altra prigione.
La prigione era popolare anche nel mondo del cinema. Nel 1973, Alain Delon ci girò uno spezzone del film “Deux hommes dans la ville”, con Jean Gabin. E non solo, dato che nel 1951 Simone Signoret giocherà nello stadio della prigione per il “Casque d’or”.
Descrizione
L’ex carcere è un imponente edificio in pietra marrone che si distingue facilmente dal paesaggio circostante. Si erige ancora orgoglioso e senza timore nel mezzo del centro cittadino, dando l’impressione di non essere nemmeno abbandonato.
In un batter d’occhio m’infilo dietro la rete che circonda la prigione ed eccomi nel giardino. Ovunque l’erbaccia cresce rigogliosa, con rovi che si aggrappano ai miei vestiti quasi fossero tenaglie. Ad ambo le entrate scorgo finestre enormi, mentre ai lati delle strutture, ovvero dove sono situate le celle di detenzione, finestre minute e squadrate. Il tutto rinchiuso da sbarre in ferro.
Mi decido ad entrare, prima pian piano, poi con più decisione. Mi trovo davanti a uno scenario del tutto bizzarro: incastrati tra un rete di sicurezza e l’altra, tra un battiscopa e un gradino, oggetti di qualsiasi tipo: telefoni, sedie, cartacce, documenti, pentole…
Sembra quasi che che ci sia appena stata una battaglia tra guardie e prigionieri. Alcuni muri risultano bruciati, in altri l’intonaco è quasi del tutto scomparso. Una gabbia arrugginita, una gattabuia. Mura che prima le senti parlare e poi ci fai l’abitudine. Traspirano violenza e tristezza, speranza e rassegnazione.
In ogni piano sono contenute all’incirca una dozzina di celle per lato, e ogni stanza tre letti con bagno annesso. Qualche muro è stato anche utilizzato per farci dei graffiti che si estendono per tutta la lunghezza della struttura. Ogni corridoio e scala mi porta a nuove e incredibili scoperte e ognuna delle celle ora si ritrova con la porta aperta, di conseguenza esplorabile in ogni suo angolo.
Di tanto in tanto negli uffici si possono ritrovare documenti ufficiali risalenti a decenni fa, libri di matematica e ortografia, raggi-x dei pazienti del 1975, videocassette e floppy disk con titoli come “Il digiuno di Alexandre” o il “Caso 12-85”. Disseminati sul pavimento anche vassoi e tazzine, forchette e coltelli. Sarei stato curioso di capire dove mai si potesse trovare la mensa (se mai ne esisteva una). La prigione si compone di tre piani (escludendo il piano terra), composti da una passerella in acciaio e calcestruzzo armato.
Dal piano terra è possibile avere una veduta completa di tutti i tre piani, e perciò controllare qualsiasi eventuale movimento dei prigionieri. Nella “soffitta”, quasi fosse uno sgabuzzino, sono accatastati diversi pc, tastiere e altri oggetti elettronici. Man mano che le voci dei bambini della scuola vicino si calmano, il buio comincia a scivolare dentro l’edificio e tra le sbarre. L’aria attorno si fa più fredda, e le ombre iniziano a danzare sulle facciate delle porte in acciaio. Pugni e calci che si abbattono con veemenza sui cardini sui muri, occhi che ti fissano attraverso gli occhielli. Un passato che non molti vogliono ricordare, ma a cui si è indissolubilmente legati.