Finalmente, dopo centinaia di luoghi abbandonati, sono riuscito a raggiungere la mia meta finale: Akarmara.
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Posizione
La città abbandonata si trova proprio ad Akarmara, una trentina di minuti di distanza in macchina da Tkvarcheli, nelle montagne dell’Abcasia.
Storia
Akarmara un tempo era una vivace città mineraria costruita per l’ estrazione del carbone da prigionieri tedeschi catturati durante la seconda guerra mondiale. Nell’agglomerato di villaggi e città ci vivevano all’incirca 40.000 persone.
A partire dagli anni ’70/80 la guerra, la crisi economica, insieme alla fine dell’URSS poco dopo, hanno svuotato la città delle 5.000 persone che ci vivevano e le miniere sono state chiuse.
Oggi solo 35 residenti sono rimasti.
All’inizio degli anni ’90 l’assedio di Tkvarcheli fece sì che Akarmara fosse effettivamente tagliata fuori dal resto dell’Abkhazia in quanto vi era solo una strada principale che tagliava dritto attraverso Tkvarcheli. Per 413 giorni la città non poté più rifornirsi cosicché dovette affidarsi alle forniture di elicotteri da parte delle forze russe e separatiste. L’assedio di Tkvarcheli rimane tutt’ora il più grande trauma di guerra per la popolazione.
Durante il periodo sovietico, diversi gruppi etnici vivevano e lavoravano insieme nell’area: russi, greci, abkhazi, georgiani e armeni. Molti di loro hanno abbandonato le loro case durante la guerra. Oggi vivono principalmente russi e abkhazi.
Nei mesi estivi c’è un flusso costante di 4×4 con musica ad alto volume che porta i turisti dalla costa fino alle colline per vedere Akarmara e le sue miniere.
Si parla di restaurare nuovamente la città in un resort per mostrare il suo splendore dimenticato, ma ciò richiederà un sacco di soldi e poiché l’Abkhazia è una repubblica non riconosciuta gli investitori stranieri non sono ancora interessati a comprare.
Descrizione
Vengo “raccolto” da una coppia,padre e figlio, in macchina appena dopo il mio arrivo a Tkvarcheli.
Chiudo lo sportello e via attraverso le strade scoscese delle montagne Abcase, passando più volte sopra ponti e fiumi in piena, lisciando visi e facce molto sorprese della nostra presenza. I tratti somatici degli abitanti del luogo sono vicini a quelli delle popolazioni del Caucaso, Cecenia e Georgia. Sopracciglia spesse e nere, nasi di un certo spessore, capelli folti e neri con due occhi profondi come pozzi senza fine. Nella mezz’ora di tragitto che ci porta alle porte di Akarmara, il signore più anziano ci descrive un po’ la sua vita e l’ambiente circostante, tra cui una montagna considerata da loro sacra e meta di pellegrinaggio.
Passato l’ultimo ponte l’autista si ferma e mi indica la sua casa. Come di consuetudine da quelle parti mi invita nella sua abitazione, ma purtroppo devo rifiutare per via del poco tempo che mi rimane.
Cosicché incomincio ad esplorare la città, iniziando da una scalinata che sembra quasi non avere fine. Mi porta fino a un edificio di cui posso visitare solo il piano terra. Nel cortile adiacente due famiglie vivono con i propri figli e gli animali domestici. La vita prosegue.
Grandi edifici sovietici in cemento, khrushchyovkas (palazzine di cinque piani costruite nei primi anni ’60), sono in rovina. Sono considerati densamente popolati anche se li abitano solo una o due famiglie.
Prima della guerra, la vita nel villaggio era vivace, con centri comunitari e scuole materne. Ancora adesso, tra le rovine si trovano strade acciottolate e magnifici edifici. Le persone che un tempo vivevano qui e avevano un ruolo nell’economia sovietica a livello centrale ora sono fuggite.
La maggior parte della gente lavora per una piccola società turca di estrazione del carbone – Tkuarchalugol. Ogni famiglia coltiva ortaggi e alleva bovini, maiali, polli per conto proprio. Prima della guerra non erano soliti coltivare e allevare animali. Ora si vedono costretti a farlo per sopravvivere.
La domanda di beni nel negozio locale è bassa, quindi per acquistare cibo o articoli per la casa, le persone devono prima chiamare il negoziante, che vive nelle vicinanze, e chiedere se è a casa. In inverno, l’amministrazione distrettuale fornisce candele e pane gratuito ai villaggi.
Una volta alla settimana, i residenti si recano al mercato di Tkuarchal. Due volte a settimana un autobus parte dalla parte alta del distretto fino a Tkuarchal. Un autobus porta anche i bambini a scuola.
A lato prendo una stradina che mi porta ad altri due edifici dove, a quanto sembra, vivono due famiglie. Le porte dell’edificio sono chiuse con il lucchetto e perciò lascio perdere. Seguendo una scalinata ritorno giù e qui degli abitanti del luogo chiacchierano senza mai perdermi di vista. Un camioncino passa per dare un passaggio per poi scomparire nel nulla dietro un edificio abbandonato.
Ritorno al mio punto di partenza per poi proseguire in discesa. Faccio la conoscenza di qualche animale da fattoria. Una famiglia di maiali, di tacchini, qualche cane e delle capre. Tutti liberi di scorrazzare ovunque vogliono.
Continuando a camminare mi imbatto in un cancello in ferro battuto con uno stemma molto particolare. Da curioso esploratore mi avvicino e srotolo il fil di ferro che lo tiene chiuso.
L’interno è un semplice giardino di condominio che ora ospita una arnia per le api. In Abcasia sulla mia strada ho incontrato molti apicoltori e devo ammettere che il miele che fanno è davvero molto buono.
Proseguendo m’imbatto in un camioncino lasciato ad arrugginire ma probabilmente ancora funzionante, un paio di motorini e un trattore. Due cani fanno da guardia a una casa isolata dal resto dei condomini. Alzano la testa, muovono le orecchie, fanno un abbaio e poi si alzano. Uno dei due sarà la mia guida protettrice per il resto dell’esplorazione.
Svolto a destra e mi avvicino sempre di più al fiume in piena.
Un condominio, oramai senza più finestre e porte, con l’erba che cresce rigogliosa sui terrazzi, m’invita ad andarlo ad esplorare.
Macerie e spazzatura sono ovunque e ostruiscono il passaggio. Le scale sono in condizioni pessime, con tondini di acciaio e calcinacci che sono sul punto di cadere da un momento all’altro. Le stanze ricoperte di muschio, polvere e detriti. In alcune ci sono ancora i letti, in altre degli ornamenti e arredi. I piani superiori essendo molto instabili me li riservo per un’altra volta. Uscendo dal condominio ritrovo il cane che mi aspetta impaziente.
Decido di lasciarmi condurre, e cosi attraversiamo un ponte da cui ho la vista del fiume che impetuoso attraversa la città di Akarmara.
Salendo un po’ più in alto ho la possibilità di avere un veduta migliore dei dintorni e della città. In lontananza intravedo altri stabilimenti, e ancora più distante dovrebbero esserci le famose miniere abbandonate. La città di Akarmara non si ferma qui, ma si perde nel fitto della vegetazione, passando da villaggio a villaggio. Come funghi spuntano le costruzioni, che brutalmente si sono fatte strada nella montagna ma che ora periscono e muoiono in silenzio. Gli unici a mantenerle in fin di vita sono gli abitanti del luogo.